Il Fatto Quotidiano –
Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare . È come una splendida donna ammalata. Ha occhi che incantano e capelli di seta, ma sente che le ossa s’indeboliscono giorno dopo giorno, le arterie s’intasano. Non rischia di sbriciolarsi domattina, la città unica; ma viene consumata in perpetuo, e non potrà certo resistere per sempre. Sott’acqua, la erode il moto delle onde, centuplicato da una finta modernità che ha affollato la Laguna d’imbarcazioni a propulsione meccanica, e dall’incoscienza che l’ha aperta alle colossali navi da crociera. Oltre la superficie, a logorare Venezia sono i quaranta, i cinquanta milioni di piedi che vengono ogni anno a calpestarla. La dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia la vende ai turisti. “Questa non è più una città, semplicemente. È un parco tematico, una Disneyland di pietra e d’acqua”, spiega Gianfranco Ortalli, decente di Storia medioevale a Ca’ Foscari. Oggi i residenti sono meno di sessantamila. Soverchiati da un esercito di turisti che le stime più prudenti quantificano in 22 milioni di presenze l’anno, quando già nell’88 il Comune fissava a 12 milioni il massimo sostenibile. “La presenza abitativa, coinvolta nella manutenzione della città, è schiacciata dalla presenza turistica, dedita esclusivamente al consumo di Venezia”, accusa lo storico dell’arte Tomaso Montanari. “E la città è gestita come una risorsa non rinnovabile, da sfruttare finché dura”. VENEZIA è anche un sogno, di quelli che puoi comperare. Gli osservatori di cose veneziane, anche i più arcigni, concordano su un punto: rispetto a trent’anni fa, molti palazzi sono in condizioni migliori. È il risultato paradossale di due politiche che quegli stessi osservatori condannano, la privatizzazione del patrimonio edilizio pubblico e la terziarizzazione della città. Dato che non hanno soldi per la manutenzione, le istituzioni – a cominciare dal Comune – cedono i loro immobili di pregio ai privati più ricchi, che hanno risorse per metterli a posto. E intanto consentono il cambio di destinazione d’uso degli edifici privati, che vengono restaurati per farne degli alberghi. Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità. Ma questo arcipelago di palazzi, talvolta rutilanti, è immerso in un tessuto connettivo di strutture in disfacimento. Ponti rappezzati, rive smangiate, fondazioni indebolite, imbarcaderi marciti, canali maleodoranti, scale consunte. Basta ascoltare chi la percorre tutti i giorni, la città di uso pubblico: i 433 gondolieri. “Da almeno una decina d’anni la manutenzione va scemando di continuo”, testimonia il loro presidente, Aldo Reato . “Si fanno solo rattoppi, e neanche di buona qualità”. Lancia i suoi segnali d’allarme, la Venezia che è di tutti e non solo di qualcuno. In autunno è venuto giù un pezzo di Riva Parisi, poco dopo i sostegni della darsena di piazza degli Alberoni, al Lido. Un mese fa i giornali locali hanno scoperto che si sbriciola il pontile di Santa Chiara e affonda in Laguna la fondamenta delle Zattere. “Colpa del moto ondoso artificiale”, è la diagnosi di Reato. Perché è quasi inimmaginabile la quantità d’acqua che mandano a infrangersi contro le antiche pietre d’Istria le attuali navi da crociera. Mostri alti sessanta metri e lunghi trecento, a cui viene consentito di transitare di fronte a San Marco, di divorare anche visivamente il Palazzo Ducale. Un sistema urbano fragile come Venezia dovrebbe respingerli con le cannoniere; invece, Comune e Autorità portuale fanno a gara perché attracchino, perché scarichino altre folle a oberare la città. “Di fronte al ricatto del denaro anche le istituzioni, prone ai voleri del dio Mercato, sembrano pronte a tutto”, tuona Salvatore Settis, lo storico dell’arte più autorevole d’Ita – lia. Del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega . Neppure la tragedia del Giglio è bastata a interdire i Godzilla del mare. Il decreto emesso un anno fa dal governo Monti vieta il transito a meno di due miglia dalle coste. Con un’unica eccezione: Venezia, che sarà tutelata solo quando qualcuno, chissà come, scoprirà “vie di navigazione praticabili alternative”. “I veneziani di oggi sembrano decisi a fare il massimo uso del favoloso tesoro che hanno ereditato, a sfruttarlo in ogni modo”, scrive Paolo Lanapoppi, di Italia Nostra, in “Caro turista”, uno dei titoli della coraggiosa casa editrice Corte del Fontego. La zampa del Leone non appoggia più sul vangelo di san Marco, ma su un libro contabile. E sopra c’è scritto: ultimi giorni, approfittatene.