(Dire) di cambiare tutto per non cambiare niente. Su grandi navi e laguna.

7 / 6 / 2019 (Leggi l’articolo su Globalproject.info)

Lo scontro della MSC Opera contro la banchina di cemento armato di San Basilio a Venezia di domenica 2 giugno ha sollevato moltissime reazioni non solo da parte dei comitati e della cittadinanza, ma anche delle istituzioni. Abbiamo analizzato alcune delle opzioni proposte cui il Comitato No Grandi Navi in vista della mobilitazione di domani, sabato 8 giugno.

Continua a crescere l’attenzione rispetto al problema delle navi da crociera a Venezia, dopo la sfiorata tragedia della scorsa domenica.

Ieri il Comitato No Grandi Navi ha diffuso un appello affinché il prefetto di Venezia accordi al corteo – previsto per domani 8 giugno – l’accesso a piazza San Marco. Una richiesta che in pochissimo tempo ha visto l’adesione di centinaia di associazioni, scrittori, personaggi del mondo dello spettacolo e dell’accademia.

Una richiesta, quella maturata collettivamente nel corso dell’assemblea preliminare alla manifestazione, che risponde alla volontà di riappropriarsi di un luogo da cui residenti e cittadini/e sono sistematicamente esclusi/e. Un luogo simbolo della monocoltura del turismo su cui si è deciso a tavolino di far sviluppare Venezia: tra selfie stick, code interminabili per accedere a Palazzo Ducale, drappelli di militari che pattugliano l’area e il nuovo regolamento comunale, che limita definitivamente la possibilità di fruire di quella piazza a scopi non turistici, non vi è spazio – né fisico né di agibilità – per chi abita in città. Spazio che invece viene sistematicamente concesso alle grandi navi, che attraversano il canale della Giudecca e il bacino di San Marco passando proprio di fronte a una delle piazze più belle al mondo.

Rivendicare quello spazio, quindi, significa riappropriarsi di un diritto alla città che Venezia mortifica da anni, ed è istanza sacrosanta. Sottolineare la centralità di questa piazza, tuttavia, non deve rischiare di alimentare un dibattito sterile e fine a sé stesso come quello ingaggiato, tra gli altri, da Brugnaro, sindaco di Venezia, e dal ministro per le infrastrutture Toninelli. Un dibattito che millanta la necessità di allontanare le grandi navi da San Marco, in un’ottica di salvaguardia del patrimonio architettonico, a fronte di anni di ipocrisie e di una sostanziale incomprensione delle reali ripercussioni del passaggio delle navi in laguna, e non nel solo bacino.

Dopo lo sconto tra la MSC Opera e il battello fluviale River countess, il sindaco di Venezia ha rilasciato numerose dichiarazioni su una sua presunta “storica” opposizione al passaggio delle navi da crociera nel canale della Giudecca. Dichiarazioni riprese anche dal ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli. Ondate di sdegno che rispondono a interessi di marketing politico e che, tuttavia, sollevano molti dubbi.

Dopo i fatti della scorsa domenica, sono stati politici di tutti gli schieramenti a tornare alla carica dichiarando di essere da sempre contrari all’attraversamento di Venezia da parte dei “mostri galleggianti” e di aver a lungo combattuto perché fossero avviati i progetti per altre soluzioni. Come mai nessuna di queste sia mai stata realizzata, però, è dubbio che rimane: Brugnaro è alla guida di Venezia da quattro anni ormai, e il ministro Toninelli governa da un anno, eppure nessuno dei due è stato in grado di modificare lo stato di cose. E così, da anni, le navi attraccano indisturbate a Venezia, rendendo l’aria della città tra le più inquinate d’Italia.

Per i più maliziosi, l’immobilismo sembra la malattia delle istituzioni di questa città: nel 2012, dopo l’incidente all’Isola del Giglio, fu varato il decreto Clini-Passera secondo cui le navi di stazza superiore alle 40 tonnellate non avrebbero potuto attraversare il canale della Giudecca. Occorreva però trovare una via alternativa per le crociere più grandi. Ad oggi, questa alternativa non è mai stata realizzata, e da 7 anni le navi di qualsiasi portata continuano a sfiorare piazza San Marco, ivi compresa la MSC Opera, che di tonnellate ne pesa 65.

Nel 2015, durante la sua campagna elettorale, Luigi Brugnaro si fece immortalare insieme a 4 rimorchiatori coperti di palloncini rosa mentre si dirigeva verso la Marittima con uno striscione che recitava “sì alle navi”. Un gesto eclatante accompagnato dalla promessa di un piano B: il Vittorio Emanuele. La stessa promessa che, dopo quattro anni di governo della città, il sindaco torna a rievocare.

Il Vittorio Emanuele III è un canale di circa 4 km scavato nel 1925 che collega Porto Marghera al canale della Giudecca e, quindi, alla Marittima. Soppiantato dopo la seconda guerra mondiale dall’uso del canale dei Petroli, il V.E. è rimasto a lungo inutilizzato e il fondale si è parzialmente riempito. Perché possa esserne ripristinato l’uso, si renderebbero necessari lavori di scavo e di allargamento: la profondità attuale è di circa 5 mt, a fronte dei 20 mt necessari per il passaggio delle navi, mentre per la larghezza si parla di un passaggio da 20 mt a 160 mt. Scavi di questa natura implicano un doppio rischio: da un lato vi è l’aumento della massa d’acqua in ingresso in laguna, il cui movimento risulta insostenibile per le fondamenta della città di Venezia e favorisce i fenomeni estremi di acqua alta, dall’altro vi è il sollevamento e la dispersione in acqua di tutte le sostanze tossiche che i fanghi prospicienti l’area di Porto Marghera contengono. Fanghi che, peraltro, a causa dell’alto grado di inquinamento non potrebbero in alcun modo essere riutilizzati e riposizionati in laguna, ma per cui si renderebbero necessari appositi smaltimenti, per cui non esiste alcuna strategia operativa. Se infatti negli anni Novanta è stato possibile accumulare fanghi inquinati, macerie e residui industriali di Porto Marghera costruendo l’isola artificiale delle Trezze, un terrapieno dalla superficie di 55 ettari, oggi un provvedimento del genere incorrerebbe in sanzioni severe.

Ma c’è di più: oltre al Vittorio Emanuele, occorrerebbe anzitutto scavare anche i bacini di evoluzione necessari alle manovre delle navi, portandoli a un diametro di circa 400-500 mt, con le medesime ripercussioni sugli equilibri delle correnti lagunari menzionati poco sopra. A questi, andrebbe sommato l’adattamento di un altro tratto: il cosiddetto canale dei Petroli. Perché infatti le navi dall’Adriatico possano raggiungere il Vittorio Emanuele senza attraversare la città, dovrebbero necessariamente entrare in laguna dalla bocca di porto di Malamocco, a sud del Lido di Venezia, tagliare da est a ovest la laguna, percorrendo poi da sud a nord il canale dei Petroli fino all’ingresso nel Vittorio Emanuele.

Il canale dei Petroli prende il nome dal traffico di petroliere che quotidianamente lo congestiona e che rifornisce le raffinerie e il petrolchimico di Marghera. Il suo scavo fu dettato dalla necessità di non incrociare la propria rotta con quella delle imbarcazioni civili e turistiche: precauzione che, nei piani del Vittorio Emanuele, verrebbe inevitabilmente a mancare. Perché però il canale sia agibile contemporaneamente dalle grandi navi e dalle petroliere, sarebbe ancora una volta necessario procedere con lavori di scavo e ampliamento del fondale, inquinato dagli impianti sulle rive. Si tratterebbe, in sostanza, di effettuare scavi per altri 15 km di lunghezza in un canale che è già stato fortemente criticato per il suo impatto estremamente negativo sull’equilibrio della laguna. Con il suo innaturale scorrimento d’acqua, ha provocato nel corso del tempo un notevole innalzamento del livello del mare, con conseguente sparizione di elementi caratteristici della laguna veneta come le barene e i ghebi.

Se anche si volessero trascurare gli impatti che scavi di questo genere avrebbero sull’ecosistema lagunare, sarebbe più difficile dimenticare alcuni provvedimenti legislativi in vigore a Venezia che ne ostacolano la realizzazione. Da un lato vi sono le leggi speciali per Venezia 171/1973 (art. 1) e 798/1984 (art. 3) che limitano la possibilità di effettuare scavi per nuovi canali, dall’altro vi è la “direttiva Seveso” (recepita in Italia con il dpr 17 maggio 1988, n. 5) del 1982, emanata dopo il disastro del 10 luglio 1976 occorso nella bassa Brianza. Una direttiva nata per tutelare la società civile dai pericoli connessi agli “incidenti rilevanti di origine industriale”. Tra i siti riconosciuti a rischio nei pressi del comune di Venezia ci sono gli stabilimenti di Martellago e la Zona Industriale di Porto Marghera. Un’area sulla quale è fatti divieto di sorvolo alle rotte aeree, e in prossimità della quale non è possibile, per le navi civili, transitare.

Che lo scavo del Vittorio Emanuele e del canale dei Petroli sia oggettivamente opzione impercorribile è testimoniato anche dall’esperienza del Contorta Sant’Angelo, un canale alternativo al Vittorio Emanuele che avrebbe dovuto collegare la tratta delle petroliere alla Marittima e che, nel 2016, ha ricevuto esito negativo dalla VIA – Valutazione d’Impatto Ambientale.

Ma le ricerche scientifiche, nei giorni scorsi, hanno aggiunto un carico da undici alle notizie fin qui riportate, sulla base delle quali il Comitato No Grandi Navi da anni costruisce la propria battaglia. Sono infatti state diffuse alcune immagini, definite “fotografie acustiche”, realizzate per mezzo di ecoscandagli ad alta risoluzione dall’istituto di scienze marine del CNR di Venezia.

I risultati mostrano come, al passaggio di ciascuna nave, si scateni sul fondale della laguna un mini-tsunami che solleva montagne di sedimenti e detriti che, dopo essere rimasti in sospensione, vengono spinti dalle maree fuori dalla laguna, andando ad abbassare il fondale con i già noti effetti di intensificazione delle maree e di innalzamento del medio mare.

Si tratta, fin qui, di contraddizioni che emergono solo per quanto riguarda una delle opzioni paventate, che ha comunque il demerito di mantenere l’attracco e l’ormeggio delle grandi navi nel centro storico di Venezia. Ma i problemi si ripresentano anche nelle altre sparute e scomposte ipotesi paventate ad esempio da esponenti PD del comune di Venezia – che spingono per la costruzione di un porto a Marghera, laddove le banchine risultano non del demanio, come la Marittima di Venezia, ma di privati. Chi acquisterebbe le aree? Da chi? A quale prezzo? Chi e in quanto tempo effettuerebbe le bonifiche necessarie? – e dal ministro Toninelli, che propone un porto a Chioggia – di cui non è mai esistito un progetto – o un porto al Lido di Venezia con, presumibilmente, la costruzione della sublagunare che colleghi porto, aeroporto e città.

Esiste quindi un problema, che la nuvola di proposte sembra cercare di far sparire: le navi da crociera rappresentano un costo in termini ambientali insostenibile. Sia per quanto riguarda l’equilibrio lagunare che per quanto concerne l’inquinamento aereo, che nel caso di Venezia è tra i più elevati d’Italia, nonostante si tratti di una città priva di automobili.

Esiste l’evidente volontà di nascondere questo problema dietro coltri di progetti irrealizzabili, dibattiti tra sordi e prese di posizione estemporanee.

Ma esiste anche una soluzione che, come ripete il Comitato No Grandi Navi, c’è, ed è la più semplice: che le crociere stiano fuori dalla laguna e, come aggiunge Fridays For Future – Venezia, “fuori dall’universo”.

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