Awakening: un urlo per risvegliare la città

awakening

Il collettivo di fotoreporter porta le proprie immagini nello spazio pubblico e svela le contraddizioni cittadine

Una settimana fa, alla vigilia della parade contro le Grandi Navi, a Venezia sono comparse delle grandi fotografie (3 metri per 2) sulle pareti pubbliche della città. Fotografie che hanno come soggetto alcune occasioni di lotta e che mettono in luce l’enormità delle contraddizioni della città lagunare. Con l’intervista che segue abbiamo voluto far prendere parola al collettivo Awakening, fautore dell’iniziativa. Un’intervista che si esprime a più voci e con le differenti sensibilità e storie di chi compone il collettivo stesso.
Parlateci un po’ del vostro progetto, come nasce e come vi siete ritrovati in un collettivo.
Awakening nasce dall’idea di un gruppo di fotografi inglesi e francesi di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi sociali che ogni città ha nel suo grembo. Infatti, ogni posto ha le sue problematiche sociali e i suoi disagi che emergono quotidianamente fra l’indifferenza di molti. E’ più facile girare la faccia che affrontare i problemi e questo alla lunga danneggia noi e chi ci sta vicino.
A Venezia il problema “Grandi Navi” è un tema scottante e alquanto delicato. Awakening e il suo collettivo di fotografi ha voluto mettere in evidenza in maniera eclatante e allo stesso tempo rispettosa della città questo disagio sociale. I manifesti appesi in diverse parti della città (posti strategici e di grande visibilità) offrono a tutti coloro che si soffermano a guardare queste gigantografie una visione diversa della città: non più una Venezia idilliaca e avvolta nel mistero ma piuttosto una città che si accinge a essere invasa da mostri marini alti quanto grattacieli che attraversano lo spazio acqueo, la sovrastano e la oscurano con ripercussioni anche sulla vita marina della laguna veneta.

La cosa interessante e allo stesso tempo rivoluzionaria di questo movimento è l’impatto e il repentino interesse che ha manifestato sia a livello più circoscritto sia anche a livello italiano e internazionale. Le persone hanno apprezzato e si sono messe subito a disposizione, al fine di poter collaborare a questo progetto per far sì che tutti siano a conoscenza e si sensibilizzino ai problemi sociali di ogni città.
Awakening nasce professionalmente dalla frustrazione di alcuni di noi nel vedere spesso le nostre immagini manipolate da parole che il più delle volte non corrispondono alla realtà fotografata. Nasce dalla necessità di essere noi a decidere l’importanza delle notizie senza essere solo dei semplici testimoni ma anche partecipi in prima persona decidendo anche da che parte stare. Ad esempio con il tema delle Grandi navi non ci siamo limitati ad attaccare solo le immagini di questi condomini sull’acqua che sembrano mangiare venezia ma anche le immagini di chi lotta contro questi mostri.
Perché #Awakening? Chi, come e perché risvegliare?
Perché Awakening vuol dire risveglio e noi con le nostre foto cerchiamo di sensibilizzare le persone a guardare in faccia la realtà e a non dare la possibilità di scappare davanti ai problemi, ma rendersene conto e, se è possibile, affrontarli uniti. Molto spesso ci accorgiamo delle cose che non vanno bene ma un po’ per il nostro poco tempo, un po’ per la nostra indole pigra facciamo finta di nulla e andiamo avanti senza riflettere sulle ripercussioni che il nostro comportamento ha sia su di noi che sulla società che ci circonda. Avere costantemente sotto agli occhi le immagini giorno dopo giorno, anche se non lo vogliamo, ci sensibilizza e ci rende disposti a farci carico anche noi di questo o di quell’altro problema.
Awakening serve a questo: sensibilizzare le persone e farle partecipare attivamente alle sorti della loro città. Basta lamentarci solo: AGIAMO!! Ma facciamolo uniti e avendo uno scopo comune: il benessere di noi stessi e della nostra città. Abbiamo il dovere morale di lasciare la città in cui viviamo alle generazioni future in condizioni un po’ migliori di quelle in cui l’abbiamo vissuta noi!
#Awakening si riappropria degli spazi pubblici. La vostra é street art? Vi considerate più artisti o più guerriglieri?
Il titolo “L’arte non è cosa Nostra”, citando un padiglione della Biennale, mi fa riflettere che Awakening ha creato arte a costo zero, dando la possibilità a tutti di poter visionare e osservare squarci della realtà cittadina a molti paradossalmente invisibile in luoghi accessibili a tutti e non solo a una casta di intellettuali e studiosi che si ritrovano a parlare di arte e cultura. Awakening si affaccia al mondo utilizzando non i soliti luoghi preposti (biennale, musei, …) ma scendendo in strada con e fra la gente.
Se volete chiamare street art quel movimento di denuncia che viene fatto in strada, beh, allora il nostro lavoro può essere considerato “street art”, ma solo in questi termini.
Se noi ci consideriamo più artisti o guerrieri, io personalmente rispondo “persone comuni” che vogliono manifestare in maniera pacifica e attirare l’attenzione sul problema nelle forme che noi conosciamo; ma non per questo ci fermiano alle nostre fotografie, siamo bensì aperti ad altre forme di manifestazione che siano diverse dalla fotografia come disegno, pittura, …
I social network possono essere usati contro l’informazione ufficiale, come una controinformazione capillare? Quanto il loro ruolo può determinare/influenzare al giorno d’oggi l’opinione pubblica e la massa? Qual’è la vostra opinione e il vostro uso a riguardo.
I social network possono essere usati non tanto contro l’informazione ufficiale ma a sostegno oppure ad ampliamento delle informazioni ufficiali che vengono diramate. Può essere una piattaforma di confronto e una fucina di idee, basta solo stare attenti a come viene gestita e a come le notizie entrano. Tutto deve essere verificato prima, non dico epurato, ma basta che sia controllato, in maniera che quello che si legge sia veritiero.
Il ruolo dei mass media al giorno d’oggi influenza in maniera considerevole l’opinione pubblica di massa, basti guardare l’esempio di “Je suis Charlie” per capire come l’impatto mediatico sia stato all’unisono di condanna senza se e senza ma per l’atto contro il giornale e i giornalisti. Attenzione: non voglio prendere le difese di coloro i quali hanno compiuto il massacro, ma voglio far capire che, all’interno di quella serie di avvenimenti, persone che sono morte (es. poliziotti o innocenti) hanno perso valore e sono state considerate come numeri perché i mass media e il mondo di internet e dei social hanno optato per il dare importanza alla morte di qualcuno piuttosto che di altri, mettendo su due piani diversi queste morti. Se poi andiamo ad analizzare un caso, ci accorgiamo che il poliziotto ucciso è mussulmano ma allo stesso tempo è un difensore della libertà. Sbagliata è la manipolazione che si fa delle notizie e degli avvenimenti. Awakening ha la presunzione o il pregio di non manipolare nulla e di far vedere la realtà come appare, sia che si veda affissa ai muri della città sia che si legga un nostro twitter, e allo stesso tempo di sensibilizzare le coscienze delle persone.
Da fotografi impegnati quali siete, qual è il vostro pensiero sul fotogiornalismo d’oggi? C’è ancora spazio per una fotografia d’inchiesta?

Troppo spesso pensiamo che il fotogiornalismo sia quello che vediamo apparire sui giornali, ma in realtà quello non lo è più nel vero senso della parola; più che altro è diventato un lavoro di “scattino” che non vuol dire fare fotogiornalismo, ma solo documentazione fine a se stessa.
Il vero fotogiornalismo, quello che oggi noi chiamiamo tale, è un lavoro che parte dal documentarsi del fotografo su certi avvenimenti, dall’andare sul posto, dal vivere immerso in queste situazioni e da lì trarre una storia: solo così noi abbiamo la possibilità di creare e di raccontare quello che avviene e che succede realmente, essendo noi stessi parte integrante della vicenda. Questo è l’unico modo e il solo di fare fotogiornalismo, il resto è solo ipocrisia.
E’ necessario oggi ripensare nuovi canali comunicativi, nuovi modi di presentare una notizia, in questo caso, una fotografia?
E’ diventato necessario nel momento in cui la massa si è assuefatta a tutti i vecchi canali comunicativi. Per noi è un’esigenza, un modo d’essere e di rappresentare con le nostre foto la situazione in cui ci troviamo. Utilizziamo il B/N per enfatizzare i concetti e per far sì che alle persone che si avvicinano alle nostre foto resti impresso il concetto che noi vogliamo dare. La fotografia è un buon canale per arrivare immediatamente alla massa.
Di questi tempi è imprescindibile trovare altri modi di comunicare perché le tecnologie sono cambiate e di conseguenza cambia anche il modo di lavorare. I social network e Internet hanno rivoluzionato completamente il modo di fare informazione.
Nella nostra professione oggi non è più sufficiente fare solo belle fotografie, il fotogiornalista oggi deve essere soprattutto un bravo comunicatore e di conseguenza conoscere tutti gli strumenti necessari per presentare e diffondere il proprio lavoro.
Chi conosce le nuove tecnologie sa benissimo che esistono mille modi di presentare un’immagine, di raccontare una storia e allora perché continuare a farlo come si faceva più di 100 anni fa?
E’ dunque fondamentale riorganizzarsi e ripensare il modo di fare e presentare la fotografia, nell’era del digitale vengono consumate milioni di immagini ogni giorno. Forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo, riflettere e capire quali potrebbero essere le nuove strade per restituire al fotogiornalismo la dignità che si merita senza cadere nei meccanismi dell’informazione di consumo che vanno a scapito della qualità e della libertà di espressione.
Awakening rappresenta semplicemente una delle possibili alternative per comunicare e presentare una fotografia al pubblico in maniera gratuita e libera.
Grandi foto per una grande notizia. Perché gigantografie d’impatto e non mini-interventi diffusi e ramificati? C’è bisogno dell’urlo per il risveglio?
Se noi leggiamo il “Mito della Caverna” di Platone ci accorgiamo che tutt’oggi la massa è anestetizzata da tutto ciò che la circonda, non riuscendo a vedere la luce del giorno come accadeva in questo mito.
Le gigantografie servono a spezzare quelle catene che tengono ferme le coscienze delle persone e più grandi sono più sono d’impatto per il loro risveglio. I minimi interventi diffusi e ramificati possono essere intesi come pezze che servono a coprire la falla di una nave per un po’, ma che alla lunga non danno gli stessi risultati di un intervento mirato e d’impatto su un unico problema. Meglio risolvere una situazione alla volta in maniera efficace e definitiva che creare false aspettative a molti con mini interventi. L’urlo è essenziale ai giorni d’oggi: se non si urla non si viene ascoltati, e più urli, più vieni ascoltato.
La mia domanda nasce spontanea: se noi non avessimo urlato, voi ci avreste ascoltato e intervistato?

#awakening – visita il sito del collettivo
Guarda la galleria fotografica su Globalproject

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