Travolta da orde di turisti sempre più maleducati, scarsamente attrezzata a gestire invasioni di massa, sempre meno popolata da cittadini reali: è urgente voltare pagina
di Gian Antonio Stella sul Corriere del 4 agosto – Aiuto! C’è un complotto mondiale contro Venezia! Pare impossibile ma è questa la reazione di vari serenissimi amministratori e notabili al duro reportage del New York Timessulla città. Bellissima ma stravolta da un turismo asfissiante e da un malinconico degrado.
Come se ogni denuncia, ogni foto, ogni grido d’allarme non fossero già stati sbattuti in prima pagina, grazie a Dio, dai giornali nostri, nazionali e locali. E non per suicida masochismo: per salvarla, Venezia. Certo, non è la prima volta. Basti ricordare il fastidio che per anni manifestarono i politici veneziani, dediti a spazzar la polvere sotto il tappeto, davanti alle intemerate del «foresto» Indro Montanelli, querelato per aver annunciato ad alta voce ciò che poi sarebbe successo. Ricorderà cinque anni prima di andarsene: «Come scrissi in tempi lontani, e come ormai mi sono stancato di ripetere, Venezia non aveva, per restare Venezia, che una scelta: mettersi sotto la sovranità ed il patronato dell’Onu per riceverne il trattamento, che certamente le sarebbe stato accordato, dovuto al più prezioso diadema di una civiltà non italiana, quale la Serenissima mai fu né mai si sentì, ma europea e cristiana, intesa unicamente alla conservazione di se stessa, quale tutto il mondo civile la vorrebbe». Macché, sordità totale. «Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi: un turismo di massa con la merenda al sacco, che fa i suoi bisogni sotto i loggiati».
Veneziani in estinzione
Lo scriveva nel 1996. Odiava Venezia? O al contrario la amava disperatamente come solo gli amanti col cuore spezzato sanno amare? E Lisa Gerard-Sharp, l’inviata del National Geographic che un anno fa si chiese se «chi come me ama Venezia con coscienza, ha il diritto di incoraggiare altri a visitarla?». Scrisse: «Noi turisti siamo così “tossici” che sarebbe meglio rimanere a casa e cenare da “Pizza Express” dove i proventi della pizza Veneziana sostengono i restauri di Venice in Peril». «Attaccava» Venezia o puntava a salvarla? Evviva il turismo, ma farsene travolgere è folle. Tutti i giorni che Dio manda in terra l’antica farmacia di Andrea Morelli, in campo San Bartolomeo, aggiorna un pannello luminoso coi dati dell’anagrafe. Una missione civile. Ieri i residenti del cuore cittadino erano scesi a 54.579. E molti, potete scommetterci, sono residenti solo fittizi perché costretti a rispettare le regole dei B&B. Che raccolgono milioni e milioni di visitatori ammucchiati sfatti nell’afa. I quali possono contare su nove bagni pubblici nella città serenissima più uno a Torcello, uno a Murano, uno a Burano. Totale dodici. Per 28 milioni di turisti l’anno che nel 2017 potrebbero crescere ancora.
Caduta di tono
E tutti i giorni il nostro Corriere del Veneto, il Gazzettino, la Nuova Venezia, documentano con foto, video, articoli il progressivo degrado. Ragazzotti che fanno il bagno smutandati nei canali, poppute cortigiane slave in finto costume settecentesco che adescano i passanti «vieni bello fare foto!», venditori di cianfrusaglie cinesi «made in Venice», signore disinibite evacuanti nei canali o addirittura sul pavimento di una enoteca, ciccioni desnudi che solcano la folla con la panza a prua, ingorghi di motoscafi e gondole e vaporetti, cataste di spazzatura sfuggite alla raccolta di trenta metri cubi quotidiani di «scoasse»…
Travolta dalle orde
«Che resti tra noi», intimava il titolo di un film francese di una ventina d’anni fa. E «resti tra noi» pare l’ordine di servizio lanciato da chi crede che l’«immagine» e la realtà virtuale vengan prima di tutto il resto. Compreso il rispetto di noi stessi. Ed ecco il fastidio per l’allarme lanciato nel 2015 sull’eccesso di turisti («Non vogliamo diventare come Venezia») da Ada Colau, sindaco di Barcellona, città che registra più o meno lo stesso numero di presenze ma ha 29 volte più abitanti su una superficie immensamente superiore. Rispose allora il sindaco Luigi Brugnaro: «Invitiamo il sindaco Ada Colau a venire a Venezia. Potrà essere l’occasione per mostrarle le bellezze della città e magari per farle cambiare idea sul fatto che Venezia è viva e vuole vivere, come città che incontra il mondo». Certo che è bellissima, Venezia! Ma che c’entra con l’allarme sulla overdose di visitatori e di alberghi, locande e B&B più o meno regolari, più o meno abusivi? Dario Franceschini andò addirittura oltre e pur ammettendo che «a Venezia c’è un problema di sovraffollamento», sbottò: «A Barcellona dovrebbero baciarsi i gomiti per poter diventare come Venezia». Ovvio. Ma magari non travolta dalle stesse orde.
L’occhio dei giornali stranieri
Va da sé che i reportage del Guardian («Quest’estate andate a Venezia? Non dimenticate la mascherina anti-smog») e dell’Economist sull’inquinamento causato dalle grandi navi e soprattutto quello più generale del New York Times hanno scottato la pelle di tanti amministratori e operatori turistici locali. Sia chiaro: tutto si può fare meglio e qualche sbavatura sarà sfuggita agli autori. Philip Rylands, a lungo direttore della fondazione Guggenheim, ha detto di averlo trovato «facilone e frettoloso» pur essendo la situazione «assai complessa». Ma ha senso parlare di un complotto? Eppure questa è la tesi dell’assessore al turismo Paola Mar rivelata al Gazzettino: «C’è una regia dietro questa campagna di stampa mondiale contro Venezia». Bum! Una congiura? «Certo che c’è una regia. Magari qualcuno che passa informazioni alla stampa estera magari proprio da qui. Qualcuno cui fa piacere abbattere le iniziative che Venezia sta attuando».
Una svolta
Indimenticabile il commento di Vittorio Bonacini, presidente degli albergatori veneziani: «Un’operazione tristanzuola di marketing per vendere più copie sulla pelle della città». Ma dai! E il New York Times, che dopo l’elezione di Donald Trump ha guadagnato 250 mila nuovi abbonati lancerebbe gli allarmi su Venezia «per vendere più copie sulla pelle della città»? Mostrino una svolta vera e profonda, a Venezia, e sarà loro riconosciuta. Con squilli di tromba. Fino ad allora, come dimostrano le cronache non planetarie ma locali, peseranno come macigni le parole scritte in Un viaggio in Italia da Guido Ceronetti: «C’è qualcosa d’immorale nel non voler soffrire per la perdita della bellezza, per la patria rotolante verso chi sa quale sordido inferno di dissoluzione, non più capace di essere lume nel mondo».
tratto da Corriere.it